domenica 27 marzo 2022

Il filosofo del fascismo: Giovanni Gentile

Si può senza alcuna remora affermare che alcuni degli uomini più famosi della storia nazionale e mondiale sono siciliani. Si tratta di uomini che, per mezzo del loro operato, hanno profondamente mutato il corso della storia, riformando il passato divenuto presente e condizionante il futuro. Come diceva Goethe, l'Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna. 

È il caso di Giovanni Gentile, filosofo, pedagogista, politico e accademico siciliano nato a Castelvetrano il 30 Maggio del 1875. Tendenzialmente, e con cognizione di causa potremmo dire, la figura di Giovanni Gentile viene accostata al regime fascista. Egli difatti non fu solo un rilevante ideologo del fascismo, tuttavia scelse di fare parte del regime, di affiancarlo e sostenerlo, minando così la sensibilità di Benedetto Croce, inizialmente suo alleato nella battaglia contro il positivismo e la degenerazione delle università, che dal canto suo era un convinto antifascista e liberal-moderato. 

La filosofia di Gentile è una filosofia attualistica, per modo che egli volle a tutti i costi trasferire l'attualismo anche nel dominio politico, civile e sociale. Col termine "attualismo" si intende "l'atto del pensare", vale a dire che nulla esiste al di fuori del pensiero. Essendo Gentile L'idealista per eccellenza, non si tratta di un pensiero che pensa il già pensato, piuttosto di un pensiero che nell'atto stesso del pensare genera la realtà. Il pensiero su cui si fonda la filosofia gentiliana non è un pensiero  individuale ed empirico, che fa capo al singolo, è piuttosto un pensiero dell'Io trascendentale e assoluto, l'atto spirituale in cui tutti si unifica e si risolve. Gentile, nella sua opera "Genesi e struttura della società" esordisce così : «Quel che il filosofo dovrà sempre ammonire è che l'autorità non deve recidere la libertà, né la libertà pretendere di fare a meno dell'autorità. Perché nessuno dei due termini può stare senza l'altro; e la necessità della loro sintesi deriva dalla profonda natura sintetica dell'atto spirituale». Stando così le cose, si evince come il disegno politico gentiliano sia notevolmente intriso della sua stessa filosofia. 

Il progetto decantato da Giovanni Gentile, se solo ci si limitasse a tenere conto delle sue parole, è un progetto che in nessun modo intende lasciare in ombra o vanificare la libertà del singolo. Sembra paradossale, se si richiama alla memoria quello che poi è effettivamente stato il fascismo: un regime politico dal carattere totalitario che ha dichiaratamente legittimato la violenza, che ha utilizzato la forza e che ha mostrato un atteggiamento di angheria nei confronti di coloro i quali si sottraevano agli intenti del regime. Pertanto è difficile pensare che la libertà di cui parla Gentile possa trovare uno spazio, un margine di realizzazione. 

Giovanni Gentile insiste molto sul rapporto cittadino-Stato, l'uno differenza l'altro identità. Stato come identità della differenza poiché «lo Stato è lo stesso individuo nella sua universalità. La libertà del cittadino è la libertà dello Stato. [...] In generale, dove si scuote l'autorità e autonomia dello Stato, si compromette e si scrolla il fondamento della libertà.>> Insomma, queste parole rappresentano a pieno titolo il disegno politico gentiliano: il cittadino e lo Stato sono la parte e il tutto, senza l'uno non vi è l'altro. C'è bisogno di una relazione dialogica che "esaudisca" l'urgenza del singolo ma che tenga conto della facoltà dello Stato. È chiaro che talvolta questo legame si spezza, poiché si sente la necessità di istituire un nuovo disegno di Stato che sostituisca il precedente, di modo che si possa rispondere ad esigenze sempre nuove. Il filosofo, infatti, all'interno del suo progetto recupera l'importanza della rivoluzione, una rivoluzione permanente e non d'eccezione. Permanente perché permette di volta in volta di applicare fertili ritocchi senza il ricorso alla violenza, che sarebbe invece ineliminabile se la rivoluzione fosse soltanto quella dei giorni d'eccezione <<in cui con eccezionale violenza il popolo si leva a distruggere cose e uomini rappresentativi di governi non più tollerabili».  In questo senso potremmo dire che la rivoluzione permanente è la conditio sine qua non dello Stato, che non costituisce la sua dissipatio ma la sua stessa vita autentica. 

La filosofia di Gentile, non vuole essere uno "spazio" inverosimile ove si cerca una consolazione esistenziale che nulla di concreto può conferire alla realtà, non si tratta di un alcamenare continuo e sterile. Piuttosto, l'atteggiamento del filosofo è quello di applicare i precetti teorici alla pragmaticità della vita e, in particolar modo, della politica. Motivo per cui non ha senso parlare di questi momenti come distinti. A prova di ciò, Gentile, nell'opera "La dottrina del fascismo" scritta in collaborazione con Benito Mussolini nel 1932, ci dice che il fascismo, così come ogni salda elaborazione politica, è prassi ed è sistema, è «azione a cui è immanente una dottrina, dottrina che, sorgendo da un sistema di forze storiche, vi resta inserita e vi opera dentro». Il fascismo secondo Giovanni Gentile è un modo spiritualistico di procedere nel corso nella storia, che non fa capo all'epidermica realtà materiale in cui ogni io è contraddistinto da tutti gli altri, ma piuttosto ritrova la propria dimensione in quell'io spirituale che è nazione ed è patria, in quel vero e autentico Io che riunisce in sé tutti gli altri. Attraverso la privazione degli interessi particolari di ogni singolo io, è possibile realizzare l'esistenza spirituale. L'uomo che il fascismo vuole è un uomo che sia capace, attraverso la sua volontà, di crearsi la propria vita; un uomo energico, laborioso e partecipe all'azione. Questa concezione secondo cui l'uomo è il centro del mondo che tutto può e deve fare, allontana Gentile dal positivismo e dottrine simili, poiché queste lasciano al margine la figura umana e riscoprono il centro della vita fuori dell'uomo. «Il fascismo insomma non è soltanto datore di leggi e fondatore d'istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare non le forme della vita umana, ma il contenuto, l'uomo, il carattere, la fede. E a questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata. La sua insegna perciò è il fascio littorio, simbolo dell'unità, della forza e della giustizia». Gentile mantiene in forza l'idea secondo cui il fascismo possa rappresentare un momento di unità, un'unità che dal canto suo si è sempre rincorsa ma che non si è mai afferrata. Lo Stato fascista, come identità, costituisce il trascendente dell'individuo come molteplicità. Insomma, il fascismo è la traduzione politica della sua idea filosofica.

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